Il cantautore: “Nel brano “Ce Credo” ho raccontato il quartiere e le mie origini”
di Tommy Totaro
Simpatico, solare, intraprendente, ideatore di un genere musicale unico, capace di emozionare e coinvolgere migliaia di persone, disposte a seguirlo ovunque. È Nevada, al secolo Giuseppe De Liberato, artista a tutto tondo made in Soccavo, che in quest’intervista a Soccavo Magazine, si racconta a 360 gradi.
A cosa si deve il nome d’arte Nevada?
Me lo porto dietro dall’adolescenza e si rifà al film “Nevada Smith” interpretato da Steve McQueen. Diverse persone mi dissero che gli somigliavo, dato il mio modo di vestire e la passione per la musica country. Così, da quel momento, Nevada è diventato l’appellativo che mi ha accompagnato fino ad oggi.
Com’è nata l’idea del tuo “country partenopeo” e cosa lo caratterizza?
Tutto è partito quando, un bel po’ di anni fa, decisi di iniziare a studiare musica country, in particolare, “Bluegrass”. Quello cui ho dato forma e ritmo è un sound creato da strumenti tipici come banjo, chitarra ed armonica, abbinati a sonorità mediterranee e a testi in napoletano ed italiano.
Quando hai imparato a suonare il banjo?
Nella prima fase della mia carriera cominciai ad utilizzarlo semplicemente per “fare spettacolo”, non conoscendo a quel tempo maestri coi quali studiarlo seriamente. In quel periodo, non avendo a disposizione la rete, dove poter attingere facilmente nozioni, lo suonavo come se fosse una chitarra, ma con risultati poco soddisfacenti. Per mia fortuna, dopo un po’ conobbi Luigi Marchitiello, diventato poi amico di sempre, che mi impartì le prime lezioni, svelandomi i segreti del Bluegrass. Grazie a lui, ho avuto anche l’opportunità d’incontrare il grande Bill Keith, “padre” del “Melodic Banjo Style”, che ha sempre accompagnato e rafforzato con i suoi consigli la mia carriera artistica.
In questi anni, coi tuoi concerti sei riuscito a riempire tanti spazi enormi come il Palapartenope. Cosa, secondo te, attira maggiormente il tuo numeroso pubblico?
Beh, sicuramente il divertimento e l’emozione che trasmette il mio spettacolo portato, assieme alla mia band storica, anche in tantissimi locali che propongono musica live. In effetti è proprio lì che si è creato il grande seguito che ha accompagnato il mio percorso artistico, riuscendo a farmi riempire spazi come teatri e piazze.
Ti ispiri a qualche artista in particolare?
Sì. I miei riferimenti sono Garth Brooks e Alan Jackson, ma agli inizi della mia carriera stravedevo per Elvis Presley, dal quale ho imparato tanto per quanto riguarda la gestione del palco.
Hai scritto tante canzoni. Ce n’è una cui sei più affezionato?
Sono legato un po’ a tutte, ma mi sta particolarmente a cuore “Mannaggia sta Città” scritta insieme al giornalista Lello La Pietra: brano dedicato a Napoli e alle sue contraddizioni, che diede anche il titolo al mio primo lavoro discografico, costellato di brani inediti, uscito nel 1996.
Qual è, invece, quella che ti ha regalato più soddisfazioni?
Sicuramente, tutte quelle declinate nel mio country partenopeo, soprattutto, gli omaggi al grande Totò, a Renato Carosone e ad Aurelio Fierro, che ho inserito nel secondo cd “Na Bella Canzone”.
Ora con teatri e locali chiusi, a cosa ti stai dedicando?
In questo momento così difficile per tutti, sto cercando di creare e scrivere nuove canzoni per essere pronto nella ripartenza, che spero avvenga quanto prima. Mi auguro di poter riabbracciare prestissimo il mio pubblico.
Oltre che cantautore e musicista, sei anche emotional vocal coach, docente, formatore e direttore artistico. Ci parli di EmozionArt Lab?
Certo. Si tratta di un laboratorio culturale, artistico e musicale, diretto da me, che si trova a Soccavo, in via Quintiliano,37. Un progetto fatto di percorsi, idee, aspirazioni, talenti, arte, musica e, soprattutto, emozioni. Da circa 10 anni cerco di aiutare giovani talenti a migliorare i propri percorsi artistici con il metodo d’insegnamento “Team”, che dà la possibilità, attraverso un programma personalizzato di training e gestione emotiva, di raggiungere risultati immediati.
Credi che i talent show servano realmente ai ragazzi che intendono intraprendere la carriera artistica?
Penso che i talent servano semplicemente per arricchire un’esperienza, ma di solito non sono un trampolino di lancio per la carriera artistica. Anzi, spesso creano illusioni e falsi risultati. Ripeto sempre ai miei allievi che al di là della notorietà che può dare un talent, bisogna sempre essere preparati facendo affidamento su passione, dedizione, sacrificio e tanto studio: cocktail perfetto per intraprendere una carriera artistica, che riserva sì tante soddisfazioni, ma talvolta anche forti delusioni.
Sei di Soccavo. Hai mai raccontato il quartiere, a modo tuo, in qualche brano?
Certo. In “Ce Credo” descrivo le mie origini parlando della gente che mi ha visto crescere. Soccavo è un pezzo del mio cuore e resterà indelebile.
Se potessi, cosa cambieresti qui in zona?
Soccavo mi piace, infatti, abito ancora qua. Forse, si potrebbero migliorare le aree comunali e riattivare qualche centro sportivo, per permettere ai ragazzi di vivere meglio l’adolescenza, dedicandosi più allo sport e all’arte.
Tra le tue canzoni ce ne sono alcune come “Mannaggia sta città” e “La fila” che, a distanza di anni, risultano ancora quanto mai attuali. Cosa ti auguri per Napoli?
L’ho sempre paragonata a una bella donna dalle straordinarie capacità emotive, in grado, con la sua ironia, di trasformare difetti in pregi e attimi di disagio in momenti di vera aggregazione. Ma in fondo, se si ragiona, Napoli è Napoli, come la racconto in “Mannaggia sta città” e non potrebbe essere diversa. Nonostante le sue contraddizioni, rimane una delle città più belle al mondo!!!
Hai un sogno nel cassetto?
Si, certo i sogni aiutano e stimolano le nostre passioni. In questo momento storico, il mio sogno più grande è tornare sul palco a suonare e trasmettere le emozioni che da sempre hanno caratterizzato i miei spettacoli. Sogno inoltre una straordinaria ripresa della nostra vita sociale in totale serenità.