Tra gli interventi recenti più delicati effettuati dal giovane chirurgo quello ad un 23enne accoltellato al torace all’esterno di una discoteca
di Tommy Totaro
Il Premio Nobel Thomas Stearns Eliot amava ripetere: “Solo quelli che rischiano di spingersi troppo lontano possono eventualmente scoprire quanto lontano si possa andare”. Una massima, che sembra cucita su misura sul dottor Claudio Mauriello, virtuoso chirurgo 38enne “100% made in Soccavo”, tra le eccellenze non solo del nostro quartiere, ma dell’intero Stivale.
Specializzato in chirurgia generale, si è formato all’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” per poi perfezionarsi all’estero, in particolare a Ghent in Belgio ed a Poissy in Francia. Da 6 anni ha trovato la sua dimensione all’Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli.
Dottor Mauriello, che carica ricopre in ospedale?
Sono dirigente medico in Chirurgia Generale. Mi occupo, soprattutto, di chirurgia oncologica intestinale, ma anche di patologie ad alta incidenza come calcolosi della colecisti, ernie, laparoceli ed emorroidi. L’attività chirurgica non si limita ai soli interventi programmati, ma molte procedure vengono eseguite per trattare urgenze ed emergenze. Il tutto, in un reparto dalla forte identità mini-invasiva (laparoscopica e robotica).
Nonostante la sua giovane età ha già preso parte a numerosi casi delicati e difficili. Ce n’è qualcuno che ricorda in particolare?
A Pozzuoli ho la fortuna di lavorare in un ospedale e un reparto con una forte proiezione all’innovazione. Abbiamo a disposizione anche il robot Da Vinci Xi e, quando possibile, cerchiamo di eseguire interventi nel modo meno invasivo possibile, provando a garantire ai pazienti una ripresa più rapida e meno dolorosa.
Per quanto riguarda gli interventi tra i più delicati che ho eseguito di recente, il mio pensiero va sicuramente ad un caso verificatosi a novembre scorso. Un ragazzo di 23 anni era stato portato in ospedale poiché accoltellato al torace all’esterno di una discoteca. Avevo poco tempo per decidere sul da farsi, visto che il giovane era giunto in condizioni gravissime in pronto soccorso. La coltellata gli aveva procurato una gravissima emorragia intratoracica oltre ad aver perforato il polmone.
Com’è andata a finire?
Per fortuna sono riuscito a salvargli la vita eseguendo una toracotomia d’urgenza (apertura del torace). Adesso sta benissimo, non avendo subito alcuna conseguenza legata all’accoltellamento, ed è tornato alla sua vita normale.
Ha notato qualche cambiamento in ospedale, a livello di sensazioni, di “clima”… da quando le scosse dovute al bradisismo sono diventate sempre più frequenti?
Si respira un clima certamente più “teso” poiché molti dei dipendenti ed ovviamente l’utenza provengono in prevalenza dall’area maggiormente coinvolta dai recenti sciami sismici. Devo però aggiungere che tutto ciò non ha minimamente influito né limitato il numero di prestazioni sanitarie eseguito in ospedale.
Cos’è che la soddisfa di più del suo lavoro e cosa meno?
Avendo lavorato anche all’estero, devo dire che riuscire a portare a “casa nostra” un livello di qualità nelle prestazioni chirurgiche pari, se non superiore, a quanto ho avuto modo di vedere all’estero ed al nord Italia, rappresenta per me un motivo di grande orgoglio. Ciò che sicuramente dispiace, invece, è notare talvolta la diffidenza di alcuni pazienti nei confronti del personale medico, spesso trattato come un “nemico” che non ha a cuore la salute degli assistiti.
Non ha mai avuto qualche ripensamento? Mai, un “chi me l’ha fatto fare”?
Per la mia professione ho spesso sottratto tempo alla mia famiglia – mia moglie Laura e mia figlia Vittoria – ed agli affetti più cari. Per chi fa questo mestiere, purtroppo, è quasi inevitabile. Trovare un giusto equilibrio fra vita professionale e vita privata facendo il medico, non è mai una cosa semplice. Chi ci sta a fianco sposa anche la nostra professione ed è un grosso sacrificio che richiediamo anche a loro. Tuttavia, se guardo indietro, non cambierei nessuna delle scelte fatte. Non saprei immaginarmi in altre vesti.
Ma se non avesse fatto il medico, per cosa avrebbe optato?
Se proprio devo immaginarmi senza camice, penso che avrei fatto qualcosa di “pratico” con lo scopo di provare a rendermi utile per il prossimo, per esempio, il vigile del fuoco.
Che consiglio darebbe a un ragazzino che sogna di diventare medico?
Bisogna essere mossi da una grandissima passione. È da questa che nascono la volontà e la costanza necessarie per diventare un medico. Se queste mancano, tutto risulta come un sacrificio insostenibile.
Lei è un soccavese doc. Il nostro quartiere ha influito in qualche modo nelle sue scelte dal punto di vista professionale?
Il mio quartiere e soprattutto l’aver frequentato scuole pubbliche di altissimo livello della zona – la Scherillo per l’asilo e le scuole elementari, la Pirandello per le scuole medie e il liceo scientifico Niccolò Copernico (quando era al Parco San Paolo) -, mi hanno permesso di avere le basi per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Soccavo mi ha insegnato, inoltre, ad avere a che fare con tutti… a trattare il prossimo come un fine e mai come un mezzo. Questo, lo devo ai meravigliosi compagni di banco e agli insegnanti che ho incontrato durante il mio percorso scolastico. Ho imparato la cultura del merito e, soprattutto, che non si lascia nessuno indietro.
Come immagina il suo futuro?
Spero di riuscire a continuare a fare ciò che faccio, magari, con maggior serenità, sperando che i medici in Italia possano riuscire ad esercitare la professione con più gratificazioni e tranquillità sotto ogni aspetto.