Intervista a David De La Cruz, tra i fondatori di Progetto Piave e del collettivo The Docks
di Tommy Totaro
Trasformare un vecchio spazio abbandonato in un centro d’arte di respiro internazionale. È ciò che è avvenuto nel nostro quartiere, all’interno della stazione Circumflegrea, grazie a Progetto Piave e al collettivo The Docks.
Ne abbiamo parlato con David De La Cruz, street artist e fotografo freelance spagnolo, tra i promotori dell’iniziativa.
David, cos’è e quando è nato The Docks?
Il progetto è nato all’inizio del 2020, un po’ anche come conseguenza del caos mondiale, che ci ha travolti ultimamente. L’intento era quello di creare un punto di riferimento dedicato alla fotografia contemporanea e alle arti visive.
Che obiettivi si prefigge?
Principalmente, quello di fomentare l’arte buona, senza farci condizionare dai trend del momento. L’arte usa un linguaggio, che per noi è importante trasmettere. Per questo, tendiamo a selezionare una tipologia di artisti, anche emergenti, di un certo livello e in linea col nostro pensiero.
Il nome di The Docks viene spesso accostato a Progetto Piave, spazio culturale ospitato all’interno della stazione omonima della Circumflegrea, qui a Soccavo. Ci spieghi il motivo?
L’accostamento c’è stato sin dall’inizio, visto che io sono tra i fondatori sia di Progetto Piave, che di The Docks. C’è anche da dire che, per i lavori e gli artisti che seguiamo, il posto è perfetto, per la sua immagine underground e di centro culturale europeo. Ogni grande città mondiale ha i suoi spazi semi-industriali o medio-civili, che ospitano cose pazzesche. È così, che una stazione antica viene trasformata in galleria d’arte o un vecchio capannone in un hub creativo. Piave, lo spazio che gestisco, è un posto che mantiene tutti questi canoni legati alla cultura internazionale. Perché non è detto che per fare cultura, sia necessario avere una galleria d’arte “tradizionale” o un museo.
Come hanno risposto i residenti al vostro “insediamento”?
Direi, positivamente. Nessuno, finora, si è mai lamentato. Anzi, credo siano contenti, anche perché prima del nostro arrivo quel posto era una discarica.
Prevedete a breve qualche iniziativa in zona per sensibilizzare i cittadini all’Arte?
Di eventi, ci piacerebbe crearne tanti. Con l’associazione stiamo già costruendo i contenuti per la nuova agenda. Per quanto riguarda me, in particolare, non parlerei di sensibilizzazione: credo, che il popolo napoletano non ne abbia bisogno. Lo trovo già predisposto. Più che altro, mi piacerebbe “offrire” sia agli abitanti del quartiere, che di tutta Napoli, il nostro spazio: un concept pensato per regalare alle persone voglia di vivere, fare due chiacchiere e, naturalmente, apprezzare l’arte.
A cosa sta lavorando attualmente il collettivo?
Al secondo e al terzo numero della nostra fanzine, che si propone di mappare i quartieri partenopei attraverso artisti, non necessariamente napoletani.
Nei tuoi scatti c’è anche qualche angolo di Soccavo o qualche personaggio del luogo?
Sì, ho tanti amici a Soccavo, quasi tutti di via Epomeo e molti di loro li ho già ritratti.
Tu sei spagnolo e la tua Arte è conosciuta in tutto il mondo. Cosa ti ha spinto a trasferirti proprio a Napoli?
Tutto ha avuto inizio circa 10 anni fa quando, nel mio Paese, mentre studiavo all’Accademia conobbi Laura, una ragazza napoletana, che ora è mia moglie e con la quale ho due figli. Per tre anni abbiamo vissuto assieme a Barcellona, poi, lei decise di tornare a Napoli. Dopo un anno di viaggi, Italia-Spagna e viceversa, provai a trasferirmi in questa città, che mi ha sempre accolto bene: una metropoli molto bella, ma anche complicata. E qui sono rimasto!