La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore scriveva Malcom X. Dopotutto, cosa saremmo senza conoscere la nostra storia, le esperienze già vissute dai nostri antenati, i nostri bisnonni. Cosa è accaduto al nostro territorio? Siamo qui per raccontarvi di Soccavo e di come è stato generato il nome, per cominciare. Esso compare per la prima volta in un atto notarile del 1030, nel quale ci si riferisce al territorio parlando di suptus caba, da cui derivò poi sub cava, succava ed infine Soccavo.  Nel nome è racchiuso l’intero significato, la presenza e lo sfruttamento delle locali cave di piperno.

 

Ebbe prima la paternità greca, dal V-IV secolo a.C., e solo successivamente alla conquista romana (326 a. C.) Soccavo uscì dall’orbita d’influenza della greca Neapolis per gravitare attorno a quella di Puteoli, l’attuale Pozzuoli.

Dal punto di vista archeologico non mancano interessantissimi spunti, tracce che lasciano ipotizzare l’esistenza, in età romana, di piccoli insediamenti: basti pensare al columbarium di via Pigna  e alle tracce murarie in opus reticulatum rinvenute nelle antiche masserie e sotto la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. Nei primi secoli del Medioevo il villaggio subì un processo d’impaludamento, per poi assistere, intorno al 1000, ad una rilevante ripresa agricola.

Forse non tutti sanno che in epoca normanno-sveva il borgo si sviluppò al punto da essere annoverato tra i casali di Napoli. Dalla metà del Quattrocento in poi, durante la dominazione aragonese, la sua popolazione, costituita per lo più da braccianti, visse un incremento demografico ed economico, dovuto all’attività estrattiva del piperno che si praticava sulle pendici della collina dei Camaldoli. Le cave fornirono la pietra utilizzata per l’ampliamento della cinta muraria di Napoli e per la decorazione di chiese e palazzi. Tra i mastri pipernieri dell’epoca vanno ricordati i De Franco, che hanno dato il nome alla torre tuttora esistente.

Nel Cinquecento il casale si sviluppò intorno a due assi viari: quello di via Bottazzi-via IV Novembre-via Risorgimento e quello del Verdolino alla base della collina. Lungo queste strade vennero edificate le prime case a corte, molte delle quali sopravvivono ancora oggi nella loro pianta originaria. Un ulteriore aumento della popolazione si verificò nel 1538 quando, dopo l’eruzione che diede origine al Monte Nuovo e che distrusse Tripergola, sul lago di Lucrino, gli abitanti di quel villaggio si trasferirono a Soccavo. A quel periodo risalirebbe la fondazione della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo.

Anno difficile per i soccavesi fu il 1656, quando la peste decimò la popolazione del casale, riducendone gli abitanti da più di un migliaio a soli 300. La mappa topografica del Duca di Noja descrive accuratamente l’aspetto che Soccavo aveva negli anni precedenti al 1775: oltre alle masserie sparse nelle campagne e alle torri, si venne a formare, intorno alla suddetta chiesa, un piccolo borgo, che il Duca definì “casale di Succava”. Da questo nucleo principale si diramavano delle stradine che conducevano ai piccoli insediamenti abitativi intorno alle cave.

Nel secolo XIX il casale ottenne il rango di Comune autonomo, e, nel 1876, fu costruito, nei pressi di Piazza S. Pietro, il palazzo municipale , tuttora esistente ma in stato di totale degrado. Sul suo portale d’ingresso oggi si scorge appena lo stemma civico: una rappresentazione stilizzata della collina dei Camaldoli con la cava di piperno e la strada che la collegava al borgo.

Aggregato alla città di Napoli nel 1926, ne divenne un quartiere periferico, pur conservando a lungo la sua originaria anima rurale. Un cambiamento significativo si ebbe dagli anni ’50 in poi, quando un’incontrollata crescita edilizia portò all’edificazione del Rione Traiano e della Loggetta e al collegamento del quartiere col centro cittadino grazie alla costruzione della Circumflegrea . Attualmente Soccavo fa parte, assieme a Pianura, della Municipalità n. 9 di Napoli.

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