di Tommy Totaro

 

Dici “Bar Brasileno” e pensi subito a un’infinità di momenti spensierati vissuti con gli amici in un contesto piacevolissimo. Il punto di ritrovo irrinunciabile delle varie comitive del quartiere, nel weekend e non solo, prima di andare in disco, al pub o a fare un giro.

Sono passati già 22 anni dalla sua chiusura eppure, tutti in zona, tranne i giovanissimi, al tempo non ancora nati, ne conservano un ricordo indelebile. Un pezzo di storia di Soccavo, incastonato ad hoc nel cuore di via Epomeo.

Ne abbiamo parlato con Rosario, figlio di Giovanni Pagano, che nel  lontano 1960 aprì il locale col fratello Antonio.

 

Rosario, cosa aveva di speciale, secondo lei, il Bar Brasileno per essere diventato uno dei ritrovi preferiti dai soccavesi?

Era speciale perché condotto con amore e anche il senso di appartenenza era molto forte. I meno giovani ne apprezzavano la serietà nella conduzione, la qualità dei prodotti e del servizio, la passione che si percepiva nel parlare con tutti noi.

I più giovani lo amavano perché, grazie alla nostra serietà, non lasciava spazio a comportamenti “poco adeguati” da parte di nessuno, di qualsiasi estrazione sociale si trattasse. In più, in quegli anni, la conduzione era delegata a noi figli, coetanei ed amici della stragrande maggioranza dei componenti delle varie comitive che erano solite ritrovarsi al locale… quindi una grande famiglia, della quale tutti si sentivano parte integrante.

Ricorda qualche aneddoto?

Tanti. Ci vorrebbe un libro. Ne ricordo uno in particolare: 1980, all’improvviso, il terremoto. Mio padre e il fratello riunirono le famiglie mettendole in sicurezza in quello che allora chiamavamo campo della Cumana. C’era una folla immensa, impaurita, disperata. Vidi mio padre parlare con mio zio, si avvicinarono e dissero: “rimanete tutti uniti, noi dobbiamo riaprire il bar”. Ci chiedevamo il perché… eravamo ancora terrorizzati. Costrinsi mio padre a portarmi con loro, non capivo cosa li spingesse a riaprire l’attività a pochi minuti da quella tremenda scossa. Mi spiegarono che, probabilmente, tutte quelle famiglie con bambini, potevano aver bisogno di latte, biscotti, acqua e loro non potevano rimanere impassibili rispetto a questo. In effetti, nel bar si creò una calca, gente che urlava, le persone volevano fare scorte abbondanti, ma mio zio e mio padre ripetevano: “siamo qui non per vendere, ma per dare a quante più persone è possibile, un po’ di latte e biscotti, null’altro, senza concedere più del dovuto”. Terminate le scorte, chiusero e tornammo al campo insieme alle famiglie. Ancora oggi, mi piace ricordare quei momenti. Rivivo quelle scene, quegli attimi in cui mio padre e mio zio anteposero il senso di responsabilità e solidarietà ai loro affetti personali. Ma l’amore che, ancora oggi, riceviamo nel quartiere è la dimostrazione di quanto di buono abbiano seminato e di cui sarebbero felici vederne i frutti.

 

Cosa le manca di più del Bar Brasileno?

Tutto. Il suo profumo, i clienti, gli amici, l’odore dei cornetti che sfornavamo al mattino, le domeniche a ridere e scherzare pur lavorando… ma, soprattutto, mi mancano i rimproveri sul lavoro di mio padre.

 

Perché la scelta di chiudere?

Fu una decisione sofferta. Da qualche anno, mio padre non stava più bene: ictus, interventi al cuore, divergenze sulla conduzione tra me e mio fratello… Alla fine si decise di vendere. Col senno del poi, direi che fu un grave errore. Credo, anzi, ne sono sicuro, sia stato il più grande dolore che mio padre abbia sopportato e di cui  noi figli non capimmo l’importanza. Dolore in parte lenito, a distanza di anni, dall’apertura dell’attuale locale che conduco con la mia famiglia a via Caldieri. Voglio credere di aver regalato a mio padre, nei suoi ultimi anni, la gioia di rivivere in me, nel mio locale, il suo Brasileno, anche perché devo solo a lui quello che sono e quello che la mia famiglia ha rappresentato per il quartiere che, ancora oggi, a distanza di anni, ci ricorda con affetto.

Mio padre ha sempre nutrito amore e rispetto verso Soccavo, il quartiere che lo ha accolto e che gli ha permesso di realizzare i suoi sogni. Ne parlava sempre con orgoglio e lo ha sempre difeso e migliorato con le sue azioni, i suoi contributi silenziosi. Non amava apparire o vantarsi, ma agiva col cuore.

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